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Channel: Attraverso Giardini » Ciliegi da fiore
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Della bellezza

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… continuo a pensare alla frase del principe Miškin:

la bellezza salverà il mondo

Prunus Hillieri Spire

Voglio raccontarvi alcune storie, alcune vere e alcune no: vera è la storia dei ciliegi da fiore giapponesi e del loro “sbarco” negli Stati Uniti. Accadde nel 1904, a Sant Louis, Missouri, per il World’s Fair (illustre antesegnano delle moderne Expo), il Giappone si presentò al mondo con un giardino di maestosi ciliegi in fiore: fu un trionfo. Due anni più tardi un funzionario americano, tale David Fairchild, ordinò dai vivai giapponesi di Yokohama un centinaio di ciliegi. Le piante vennero collocate in una sua proprietà: innamorato del risultato, offrì anni dopo, talee radicate per il locale arbor day in modo che ogni pubblica scuola in Washington, D.C., avesse un esemplare da ammirare. Le piante cresciute catturarono l’attenzione di tutti, persino della moglie dell’allora presidente degli Stati Uniti William Taft e fu proprio questa ultima conquista l’inizio della fortuna dei ciliegi da fiore in terra d’America. Da allora quando americani e giapponesi vogliono avvicinarsi, i ciliegi da fiore sono un tramite consolidato: i giapponesi volentieri li offrono e gli americani si fanno più… gentili. I vivai Yokohama negli anni prosperarono e aprirono pure una sede americana. (se avessi i soldi che non ho, i 5500 dollari che gli antiquari chiedono per il loro vecchio catalogo, si si li spenderei… :) )

Catalogo 1919 Yokohama Nursery

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Cambio storia e siamo in tempi più recenti ovvero nei primi anni settanta. Gian Lupo Osti, a quel tempo diplomatico italiano all’ONU, nel suo bellissimo Il Libro delle Peonie per i tipi Umberto Allemandi & C. (Ahi, ahi, anche questo fuori catalogo…), racconta di una particolare condizione posta da Zhou En Lai braccio destro di Mao per venire a Ney York all’assemblea generale dell’ONU del 1971. Zhou En Lai chiese di poter visitare nei pressi New York per un pomeriggio intero un giardino privato conosciuto per una preziosa collezione di peonie arbustive.

Come faceva Zhou En Lai a sapere di quel giardino rimane un mistero, come un mistero (più affascinante) rimane il peso che nella decisione di partecipare all’assemblea dell’ONU deve aver giocato la promessa di quella rara fioritura.

Anche gli americani, probabilmente colpiti da queste sensibilità orientali, iniziarono a offrire piante: nel 1972 come dono di riconoscenza per la visita concessa da Zhou En Lai al Presidente Nixon fu inviata dagli Stati Uniti una partita di semenzali di sequoia: ora quegli alberi prosperano in tutta la loro magnificenza sulle sponde del lago di Hanzhou.

Tutti questi aneddoti per dire che mi affascina il discreto, delicato potere della bellezza della natura e delle piante in particolare. Una bellezza che in parte c’è già, che in qualche modo ci precede, non artefatta eppure così pronta a rispondere e a suggerire, ad arricchirsi e ad arricchire. C’è un misterioso legame che unisce le piante al lavoro del giardiniere, una sintonia, un sigillo… Per quanto freddo possa essere l’inverno, la natura tornerà a fiorire: la vivificante, indistruttibile forza di questa promessa, presente anche se inosservata, mi sembra agire come un magnete, una forza debole, discreta ma costante, che attira in qualche misura tutto ciò che vive. Per quanto possiamo sentirci distinti fra noi, a volte persino indifferenti all’ambiente che ci ospita, fermarci ad ascoltare la bellezza di un fiore può indurci a percepire quel filo sottile, invisibile ma ineludibile, che disattiva le distanze e ci rende nodi di un’unica storia.

… infine questo racconto :) :

Molto tempo fa, in Giappone, viveva una fanciulla di nome Kiku Chan. Abitava con sua madre ai bordi di una foresta di bambù, in una casa circondata da un magnifico giardino.

Kiku Chan, infatti, aveva la passione dei fiori e sapeva far crescere ogni tipo di pianta: i prodotti del suo orto erano i più belli del mercato, e il suo giardino era cosi incantevole che la gente veniva da lontano per ammirarlo. In qualsiasi stagione, esso era una gioia per gli occhi: Kiku Chan sapeva armonizzare forme, colori e profumi in modo che ogni fiore potesse sbocciare e dare il meglio di sé. Dalla maestosa peonia all’umile anemone, ogni fiore contribuiva alla bellezza del giardino e alla creazione di meravigliose composizioni di ikebana. La casa era dominata da un enorme ciliegio i cui rami, a maggio, si coprivano di fitti e spumosi manicotti bianchi, e l’arrivo della primavera veniva cosi festeggiato da una nevicata di petali profumati. I fiori ritmavano il volgere delle stagioni: l’inizio della primavera aveva il profumo soave delle magnolie; d’estate, la chioma larga e leggera dell’albizzia ombreggiava il cortile: i suoi fiori assomigliavano a morbidi piumini rotondi e profumati, e la sera le sue foglie minuscole si chiudevano come tante piccole palpebre; in autunno, i lunghi gambi fioriti di malva rosa sembravano sfidare con la loro grazia le prime nuvole, e anche d’inverno il giardino profumava e splendeva, nelle brume fredde e grigie, grazie al rosso cupo delle camelie.
Perché Kiku Chan credeva nell’anima dei fiori. Per lei, ogni fiore racchiudeva l’anima di un essere vivente, e la fanciulla coltivava con amore il suo giardino d’anime, che prosperava e fioriva grazie alle sue cure.

Ma un autunno il vento glaciale del Nord scese dalle montagne più presto del solito, raggelando ogni cosa. Kiku Chan copri le sue preziose piante con uno spesso strato di paglia e il giardino si addormentò sotto la neve.
Sedute accanto al fuoco, avvolte nei loro caldi kimono invernali, Kiku Chan e sua madre aspettavano tranquille e serene il ritorno di tempi migliori. Ma dopo alcuni giorni di gran freddo, la madre della fanciulla cominciò ad accusare una grande stanchezza. Si sentiva le membra tutte intorpidite, e per quante coperte si mettesse addosso, non riusciva a riscaldarsi. Col passare dei giorni il suo stato peggiorò, e nemmeno le tisane che Kiku Chan le preparava con i fiori pieni di sole dell’estate riuscivano a scuoterla dal suo torpore. A poco a poco, la donna fini per cadere in un sonno profondo.

Kiku Chan non sapeva più cosa fare. Mise tutte le coperte che aveva in casa sul letto della madre e si coricò con lei, tenendola stretta per riscaldarla col suo piccolo corpo. Ma tutto fu inutile.
La notte seguente, lo Spirito dei Fiori si insinuò in un suo sogno e le disse: — L’anima di tua madre è stata aggredita dal freddo quando non era ancora pronta per il suo sonno invernale. Se vuoi salvare tua madre, dovrai andare a cercare la sua anima-fiore sulla cima più alta della montagna bianca. Cogli quel fiore e portalo con te: tua madre vivrà per tanti giorni quanti saranno i petali della sua anima-fiore.
La mattina dopo, all’alba, Kiku Chan partì alla volta dell’alta montagna. Faceva un freddo terribile e i paesaggi che attraversava erano tristi e desolati. Scalò rocce dagli spuntoni duri e taglienti, sprofondò nella neve alta, cadde e si rialzò, superò cascate gelate e crepacci profondi. Alla fine, stremata dalla fatica, arrivò ai piedi della roccia che aveva visto in sogno. E li, in un anfratto, mezzo sepolto dalla neve e dal ghiaccio, trovò finalmente il fiore che cercava. Lo liberò con delicatezza dal guscio di ghiaccio che lo copriva e lo tenne contro il suo cuore per riscaldarlo.

Poi scese in tutta fretta dalla montagna: l’anima-fiore aveva soltanto quattro petali. Arrivata a casa, Kiku Chan sistemò il fiore in un vaso di porcellana azzurra nell’angolo più caldo della casa. La fanciulla curava con uguale tenerezza sua madre e l’anima-fìore, bruciando bastoncini di incenso e pregando gli dèi di proteggerle e di farle guarire entrambe. Coricata accanto alla madre, le parlava per lunghe ore del ritorno della primavera, dell’ombra dolce dell’albizzia e del caldo profumo delle sere di luglio. Ma nonostante tutte le sue cure, la corolla del fiore si riduceva sempre di più. Il respiro di sua madre era diventato un flebile soffio.

Ben presto, sullo stelo rimase un unico petalo.

Kiku Chan era disperata. Ormai non le restava che pregare e supplicare gli dèi. Ma la fanciulla continuava ad arrovellarsi, cercando un’idea che le permettesse di salvare la sua mamma e la sua anima-fiore. Sfinita da quel continuo pensare, Kiku Chan si addormentò. Venne l’alba. Kiku Chan apri gli occhi. Ora sapeva cosa fare.

Si alzò dal letto e si accostò all’unico petalo superstite, lo prese delicatamente tra le dita e, mormorando una preghiera, lo lacerò piano piano, dal bordo fino al cuore, una prima volta, e poi ancora e ancora. Ora il fiore aveva una decina di petali sottilissimi e fragili. Il respiro di sua madre era debolissimo.
Venne la notte. La fanciulla vegliò, aspettando con ansia il mattino e spiando con occhi amorosi il viso di sua madre e il fiore. L’indomani, un petalo sottile cadde, ma gli altri si drizzarono a poco a poco e il cuore di Kiku Chan tornò a sperare. Passò ancora qualche giorno, e pian piano i petali ripresero vigore. Allora la fanciulla ricominciò a suddividere ogni petalo, sempre con molta delicatezza. E continuò così, giorno dopo giorno, e i petali, pur diventando sempre più sottili, si facevano sempre più forti. La madre di Kiku Chan si svegliò dal suo lungo sonno e riprese forze e colori.

Quando venne novembre, la donna era guarita e il fiore aveva una corolla totalmente diversa: era diventata un palloncino gonfio e brillante, con centinaia di petali fini e vigorosi. E nessun altro fiore sbocciava cosi tardi, quando il freddo era già arrivato. La mamma di Kiku diede a quel fiore il nome della sua meravigliosa figliola, Kiku, che in giapponese vuoi dire «crisantemo».

La storia giunse all’orecchio dell’imperatore, che riconobbe nella natura vivace e nella sontuosità di quel fiore le virtù di un’anima bella. Cosi decretò che il crisantemo diventasse l’emblema della casa imperiale del Giappone.

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Come nacque un crisantemo da a cura di Michel Piquemal, trad. Maria Vidale, Edizioni EL Einaudi Ragazzi, Trieste, 2004.

 


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Un saluto grande :)



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